Segue un estratto di riflessioni che le amiche della Rete di Milano hanno scritto per la Rete nazionale dopo la loro partecipazione all’incontro con il Procuratore federale argentino Gustavo Gomez*, esperto di crimini ambientali, che abbiamo organizzato a Lecco in settembre.
… Oggetto dell’incontro è stato essenzialmente quello di capire come i comuni cittadini possono denunciare i crimini ambientali, e quindi reagire e difendersi da essi, con un confronto tra il sistema legale e giudiziario in Argentina e in Italia.
Fondante, il concetto di “bene comune”, cioè l’idea che alcuni beni, essenziali per la vita e la coesistenza sociale, siano condivisi e utilizzati collettivamente dalla comunità, con implicazioni etiche, politiche e giuridiche.
Nel caso dei crimini ambientali, la riflessione sul bene comune diventa cruciale. Non solo il danno all’ambiente è un danno irreversibile al patrimonio naturale che l’umanità condivide, ma, in ultima analisi, la principale vittima è l’essere umano stesso in quanto parte integrante di un ecosistema interdipendente. …La distruzione delle risorse naturali crea una spirale di danni che, prima o poi, ritorna agli esseri umani sotto forma di malattie, catastrofi naturali e, in generale, peggioramento della qualità della vita. Si pensi, ad esempio, all’inquinamento atmosferico, che non solo minaccia gli ecosistemi, ma ha conseguenze dirette sulla salute umana, causando malattie respiratorie e tumori e accelerando il cambiamento climatico, generando una spirale senza fine.
Questa connessione diretta tra la natura e il benessere umano dovrebbe costituire una motivazione forte per denunciare i crimini ambientali.
Denunciare un crimine ambientale non è un atto isolato, ma un’azione di difesa collettiva. E ogni persona, in quanto parte della comunità, dovrebbe assumersi la responsabilità di proteggere il bene comune. Eppure, spesso le persone nelle società occidentali non percepiscono immediatamente il collegamento tra il crimine ambientale e il proprio benessere.
Diversamente, in Argentina, come ha ben spiegato Gustavo Gomez, le comunità indigene sono consce dei propri diritti in materia ambientale e cercano di farli riconoscere, o li difendono se vengono attaccati e compromessi. Probabilmente anche per questo la legislazione argentina in materia di crimini ambientali è più avanzata di quella italiana. In Italia un soggetto che subisce un crimine ambientale può “solo” costituirsi parte civile in un processo, mentre in Argentina può diventarne parte attiva nel ruolo di “querelante ambientale”, semplice cittadino che viene investito di poteri simili a quelli del Pubblico ministero.
Come sappiamo, anche in Argentina non mancano però i problemi. In diversi casi le leggi ambientali esistenti non sono sufficienti a proteggere i territori ancestrali da devastazioni come la deforestazione illegale, l’estrazione mineraria e l’aggressione delle multinazionali, complice anche la corruzione dilagante. E al riguardo Gustavo Gomez ha portato diversi esempi in cui le comunità indigene hanno cercato di contrapporsi, talvolta con successo. La denuncia di tali crimini diventa quindi non solo un atto di resistenza, ma anche una lotta per il riconoscimento di diritti che vanno al di là di quelli economici, ma sono “diritti della terra” in difesa della pachamama, la madre terra centrale nelle cosmovisioni indigene. Lotta costata la vita a diversi leader indigeni.
… In conclusione, pensiamo sia importante riflettere sui modi in cui anche nei nostri contesti potrebbe cambiare la percezione dei crimini ambientali e su come attivarci per essere parte attiva del cambiamento, in modo tale che vengano percepiti non solo nella loro essenza di danno alla natura, ma anche di violazione dei diritti della collettività e di ogni persona.
* Qui il link a un’intervista ad Antonio Gustavo Gomez pubblicata da ‘il manifesto’ il 30.10.2025:


