Smilitarizzare l’economia. Un sogno da sognare Aprile ’25

Negli ultimi anni, nell’ambito della Rete Radié Resch è cresciuta la convinzione dell’importanza di costruire reti di collaborazione con le associazioni locali con le quali si condividono impegno e valori di riferimento (antifascismo, giustizia sociale e ambientale, solidarietà, pace), per dar vita a iniziative territoriali comuni. Qui condividiamo un documento che come ReteRR di Lecco abbiamo preparato per la ReteRR nazionale, per documentare un tema che stiamo affrontando nell’ambito della Tavola lecchese per la Pace.

Smilitarizzare l’economia. Un sogno da sognare

In questo tempo spaventosamente armato, con un’escalation che pare senza freni verso un’economia militarizzata, potrebbe apparire ingenuo e velleitario impegnarsi per un’economia che converta le catene industriali di produzione di armamenti in produzioni non belliche.

È un obiettivo ambizioso, persino controverso e drammatico, perché porta la scelta di un percorso verso un’economia più pacifica ed etica, in basso, nel quotidiano della vita delle persone, nella necessità imprescindibile di avere un lavoro. Realizzare un’economia che non si avvale del mercato della guerra significa non solo ridurre enormi benefici economici per le aziende che prosperano in quel mercato, ma svuotare spazi occupazionali, sottrarre opportunità di lavoro, sovente in aree geografiche impoverite economicamente.

Sappiamo che questo è pensabile soltanto se si producono proposte alternative credibili non solo sul piano della sostenibilità economica e delle opportunità di lavoro, ma anche della capacità di far fronte alla cultura della difesa attraverso le armi, che sta riemergendo in modo tragico. Ma come sappiamo, molti cambiamenti che hanno prodotto evoluzioni dell’umanità sono iniziati come un sogno. Da utopia di pochi sono diventati movimento e storia umana. La convinzione che le spade dovessero essere sostituite dagli aratri si trova già nella profezia di Isaia.

Fatti drammatici

Dai dati sull’import/export di armi pubblicati il 10 marzo dall’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri) sappiamo che l’Ucraina è il primo Paese importatore mondiale di armamenti nel quinquennio 2020-2024. Nello stesso periodo l’import europeo è cresciuto del 155%. Una situazione di cui hanno beneficiato gli Stati Uniti, aumentando le proprie esportazioni belliche fino ad assorbire il 43% del mercato globale. L’Italia è il sesto esportatore di armi.

L’Italia ha aumentato le esportazioni di armi del 138% nel 2020-24 rispetto al 2015-19, raggiungendo il 4,8% del volume globale. La quota maggiore (71%) è stata destinata agli Stati del Medio Oriente

Il continente fa ricchi i mercanti d’armi – Herman Staal – Internazionale

Esperienze e battaglie per la riconversione

Tra i primi esemplari tentativi di riconversione dell’economia bellica al civile vi è il caso della Lucas Aerospace inglese alla fine degli anni ‘70, dove l’ingegnere e leader sindacale Mike Cooley, promotore di “produzioni socialmente utili”, ha guidato tecnici, impiegati e operai nello sviluppare prototipi di prodotti alternativi, dalle pompe di calore alle attrezzature sanitarie.

Sono gli anni dove in Italia Alberto Tridente, responsabile internazionale della Fim Cisl creava un coordinamento dei delegati dell’industria bellica per accrescere una cultura della consapevolezza e per chiedere una legge per il controllo e la limitazione dell’export delle armi, che porterà alla 185/90. Una legge oggi assediata dagli interessi di un’economia militarizzata che vorrebbe mano libera nelle esportazioni, senza nessun controllo parlamentare.

Non molto dopo, la vicenda dell’azienda Aeronautica Macchi di Varese. Elio Pagani e altri lavoratori denunciano la violazione dell’embargo alla vendita di aerei al Sudafrica e dichiarano l’obiezione di coscienza professionale alla produzione di armi, chiedendo il trasferimento ad attività civili e progetti di riconversione. Come conseguenza nel 1991 viene avviata la cassa integrazione, i lavoratori iniziano uno sciopero della fame, mentre era in corso la prima guerra del Golfo, richiedendo di «coniugare diritto al lavoro e diritto alla pace». Le produzioni civili si allargano e il Comitato dei cassaintegrati Aermacchi lancia nuove iniziative ottenendo, nel 1993, la creazione di un’Agenzia regionale lombarda per la riconversione, che opererà fino all’insediamento della nuova giunta di centro-destra.

Poi la campagna contro la produzione di mine antipersona della Valsella di Brescia, che era produttrice mondiale nel settore. Una campagna che, come sottolinea don Fabio Corazzina, ha una svolta determinante nella logica della riconversione quando le persone del territorio vedono le foto della popolazione cambogiana devastata dalle mine della Valsella. La lotta antimine che vede uniti pacifisti, comunità cristiane e sindacati si espande e, coordinata a livello nazionale e internazionale, porta nel 1997 all’adesione del Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine antipersona, che obbliga alla riconversione della produzione. Un risultato che inizialmente sembrava irraggiungibile.

Più recentemente, per noi di grande ispirazione, è quanto si sta realizzando in Sardegna, nella regione del Sulcis Iglesiente, regione ferita dalla crisi mineraria, dove la fabbrica Rwm, del gruppo tedesco Rheinmetall, produce bombe e droni-killer a brevetto israeliano.

Nel 2017, con slancio civile “dal basso”, un gruppo di cittadini indignati che nel loro territorio si producessero ordigni mortali diede vita al Comitato per la Riconversione della produzione militare di Rwm. Tra il 2019 e il 2021 il Comitato, insieme ad altre organizzazioni della società civile e grazie all’azione congiunta di un gruppo di parlamentari, ottiene prima la sospensione e poi la revoca definitiva delle autorizzazioni concesse per l’esportazione di bombe e missili verso l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi uniti, al tempo principali clienti dell’azienda. L’azienda reagisce con la scure occupazionale e chiude per alcuni mesi. Poi l’esplosione del conflitto russo-ucraino alimenta di nuove commesse Rwm che riprende a pieno regime, anche grazie alla revoca (governo Meloni, maggio 2023) all’esportazione di armi.

Sembrerebbe una sconfitta. In realtà, nel frattempo, si è avviata una visione possibile della riconversione come progetto territoriale sistemico, economico e valoriale. Nel 2021 nasce “Warfree – Lìberu dae sa gherra”, una rete di imprenditori, commercianti, professionisti impegnati per un’economia “fuori dalla guerra”. Warfree riconiuga l’obiettivo della riconversione non come azione concentrata su un’azienda, ma come un traguardo di sistema, un percorso da affrontare sviluppando un tessuto territoriale di energie, risorse, azioni e iniziative «per nuovi modi di coltivare, produrre, lavorare, abitare, consumare, far turismo in modo etico e sostenibile”. Si forma così una rete di più di 50 imprese sarde con oltre 200 referenze che aderisce a Warfree, siglando una Carta dei Valori che contiene al primo posto il ripudio della guerra. L’adesione valoriale diventa identità e visione, che dà forza anche commerciale e sostiene l’impegno gestionale ed economico con sinergie, cooperazione e supporti professionali. Il numero delle persone occupate nelle aziende della rete Warfree ad oggi supera il numero dei dipendenti della fabbrica Rwm.

L’esperienza della Rete di Lecco nell’ambito della “Tavola lecchese per la Pace”

Nel territorio lecchese ben 4 aziende producono armi e munizioni che vengono esportate in USA, Repubblica Ceca e altri paesi tra cui Turchia e Israele. Nel 2024 l’esportazione ha raggiunto un valore di quasi 6 miliardi (dati ISTAT), in forte incremento rispetto all’anno precedente. Lecco detiene un primato vergognoso: è la prima provincia italiana ad esportare armi, munizioni e macchine per costruirle ad Israele. Una recente inchiesta di ‘Altreconomia’ documenta che l’azienda Fiocchi Munizioni è il principale produttore di munizioni ad uso civile che vengono rivendute ai coloni israeliani in Cisgiordania, dove le vendite sono “esplose” negli ultimi mesi.

Non possiamo restare in silenzio di fronte a questi dati. Con la “Tavola lecchese per la Pace”- una rete di associazioni impegnate a promuovere una cultura di pace, tra cui il nostro gruppo Rete Radié Resch- abbiamo avviato un lavoro di ricerca di esperienze attive in un percorso di proposte per la riconversione economica dell’industria bellica. Così, abbiamo conosciuto il “Laboratorio permanente sulla politica industriale di pace in Italia”, di cui fanno parte molte associazioni e Centri di studio italiani  (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/un-laboratorio-per-l-industria-di-pace-investire) e incontrato persone impegnate da decenni in questo percorso: don Fabio Corazzina, Carlo Cefaloni (Economia Disarmata Mov.Focolari), Cinzia Guaita e Arnaldo Scarpa di WarFree[1], che ci hanno dato un aiuto prezioso a fondare il nostro piano di lavoro.

In questi mesi è in corso il primo step del “piano” lecchese dedicato allo sviluppo di una politica industriale smilitarizzata: la formazione di una visione del possibile, dedicata ad esplorare le effettive possibilità di riconversione, l’impatto dei dilemmi sociali che richiedono di essere affrontati, la percorribilità economica e legislativa. Un altro obiettivo: l’impegno a promuovere collegamenti, condivisione di conoscenze e prassi, per contribuire a una proposta politica che in futuro possa incidere anche sulle scelte strutturali del Paese.

L’iniziativa più recente (31 marzo) è stato un seminario che ha cercato di coinvolgere gli amministratori locali per affrontare insieme la realizzabilità nel territorio di un’economia della pace, che scoraggi le produzioni belliche offrendo alternative di sviluppo economico ed occupazionale. Abbastanza scarsa, purtroppo, la partecipazione, ma siamo agli inizi e ci è chiaro che si tratta di un percorso che richiede tempo e continuità, che si costruisce saldando nel suolo della cultura e della realtà economica territoriale un mattone alla volta.

Una considerazione conclusiva: l’ostacolo della paura

Ad ostacolare la transizione verso un’economia smilitarizzata non vi sono solo la gestione dei costi sociali, la fattibilità economica e industriale, concorre anche la paura. La paura è una grande cliente di armi, il timore di essere aggrediti da nemici dispotici e imperialisti alimenta la potente ed efficace retorica dell’armarsi per garantirsi la pace.

Un sentimento della propria sicurezza minacciata che si è propagato e radicato in questi anni più recenti, non solo per i conflitti ai confini dell’Europa, ma anche per una più vasta e penetrante condizione di precarietà in cui si è immersi quotidianamente. Il presente che si è dilatato ad esperienza senza passato e senza futuro, il futuro che è diventato incognita esistenziale e professionale, soprattutto per i giovani, hanno prodotto un sentimento diffuso di vulnerabilità, fertile per un desiderio di sicurezza, di confini chiusi, alimentati da un vissuto di minacce senza la verità dei fatti, ma con la forza della paura.

Crediamo che sia anche qui, a questa arena emotiva della paura, che occorre rivolgerci, con una militanza che alimenti speranza, che sia sempre più rigorosa sui fatti, che crei comunità, come principali risorse per la pace.

Per approfondire

– Articoli su “Riarmo: una falsa idea di sicurezza e dati impressionanti” in ‘Segnalazioni’ Marzo ’25 sito Rete Radié Resch Lecco:
https://www.reterr-lecco.it/riarmo/

Contributo per il Laboratorio permanente per una politica industriale di pace in Italia, a cura di Gianni Alioti e Maurizio Simoncelli, suppl.a IRIAD Review giugno 2024:
https://6m8dg.r.sp1-brevo.net/mk/cl/f/sh/6rqJfgq8dIPRQa0btA2EzzTBh5v/w1OxnMMTSYal

– Capitolo di Marinella Correggia nell’ebook Economia a mano armata, edito da Greenpeace e Sbilanciamoci! aprile 2024:
https://www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2024/05/23b76034-ebook_2024_def_web.pdf

[1] Grazie a Pierpaolo Loi e Gabriella Giometti e Piergiorgio Todeschini per i preziosi contatti!

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